Informativa aggiornata al 30 marzo 2020 sull’emergenza Coronavirus e violazione delle misure restrittive.
Dal 9 marzo l’Italia è “blindata” da misure restrittive destinate al contenimento e alla gestione dell’emergenza epidemiologica da Coronavirus (Covid-19): esaminiamo la violazione di tali misure.
1. Il quadro normativo-sanzionatorio.
Il Consiglio dei Ministri, già in data 31 gennaio 2020, dichiarava lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili (v. GU Serie Generale n. 26 del 01.02.2020).
Nel mese di febbraio, veniva poi emanato il decreto-legge n. 6/2020 contenente nuove misure urgenti (v. GU Serie Generale n. 45 del 23.02.2020).
Successivamente, il 1 marzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri (v. GU Serie Generale n. 52 del 01.03.2020), in attuazione del D.L. sopra citato, divideva l’Italia in zone: tra queste, ricordiamo la cd. “zona rossa” (Bertonico; Casalpusterlengo; Castelgerundo; Castiglione D’Adda; Codogno; Fombio; Maleo; San Fiorano; Somaglia; Terranova dei Passerini; Vo’) in cui, tra le diverse disposizioni, vigeva il divieto di accesso o di allontanamento dal territorio comunale e la cd. “zona gialla” (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e province di Pesaro e Urbino e di Savona), con prescrizioni parzialmente attenuate.
A seguire, prima il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 (v. GU Serie Generale n. 59 del 08.03.2020) nella forbice temporale tra la data di emanazione e il 3 aprile 2020, prevedeva il rafforzamento delle misure disciplinate nei precedenti provvedimenti mediante la delimitazione di una nuova area territoriale denominata “zona arancione” (art. 1); poi, il D.P.C.M. del 9 marzo 2020 (v. GU Serie Generale n. 62 del 09.03.2020) estendeva all’intero territorio nazionale le misure di cui all’art. 1 del D.P.C.M dell’8 marzo 2020.
Da ultimo, con il decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020 (v. GU Serie Generale n. 79 del 25.03.2020), il Governo decide di realizzare un’opera di coordinamento del complesso quadro normativo, introducendo una nuova disciplina sanzionatoria applicabile in ipotesi di inosservanza delle misure prescritte.
2. L’illecito amministrativo.
Come noto, il decreto-legge n. 6/2020 (sopra citato) aveva già sanzionato la violazione delle misure restrittive adottate per il contenimento dell’emergenza da Coronavirus (Covid-19) mediante una disposizione di legge contenuta nell’art. 3, co. 4: “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale ”.
Ed ancora, con il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 (sopra richiamato) veniva adottato, tra le diverse misure, quella di: “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute” (art. 1, comma 1, lett. a); l’articolo 4 del predetto provvedimento, prevedeva poi, al comma 2, che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, come previsto dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6”.
Ebbene, tale disposizione normativa – che configurando un’autonoma fattispecie di reato rispetto a quella contravvenzionale prevista dall’art. 650 c.p., operava solo quoad poenam (v. Gian Luigi Gatta, “Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19”, in Sistema Penale) e cioè solo al fine della individuazione della pena (arresto fino a tre mesi o ammenda fino a 206 euro) – viene oggi abrogata dal nuovo provvedimento legislativo.
Difatti, la norma incriminatrice di cui all’art 3, co. 4, del decreto-legge n. 6/2020 ha avuto vita molto breve: più precisamente con l’art. 4, co. 1 del decreto-legge n. 19/2020 – che, come noto, disciplina l’inosservanza delle misure indicate dall’art. 1, co. 2 adottate ai sensi dell’art. 2, comma 1 (dal Presidente del Consiglio dei Ministri) ovvero dell’art. 3 (dai Presidenti delle regioni) – si è deciso di abbandonare il piano penale a favore di un nuovo illecito amministrativo punitivo.
Il nuovo illecito amministrativo può essere realizzato sia con dolo, che con colpa e prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 3.000 euro,raddoppiata in caso di “reiterata violazione della medesima disposizione”. La violazione di alcune misure, relative ad attività commerciali, professionali e d’impresa, può portare poi anche all’irrogazione di un’ulteriore sanzione amministrativa accessoria, ravvisabile nella chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni (applicata nella misura massima in ipotesi di reiterazione dell’illecito); inoltre nel caso in cui il mancato rispetto delle misure di contenimento avvenga mediante l’utilizzo di un veicolo è altresì prevista una circostanza aggravante, con aumento delle sanzioni fino a un terzo .
La competenza ad irrogare le summenzionate sanzioni viene attribuita al prefetto ; quella a comminare le sanzioni per le misure disposte ai sensi dell’art. 3 viene invece attribuita alle regioni stesse . Infine, l’art. 4, co. 3 del decreto-legge n. 19/2020, prevede la possibilità del pagamento, entro 5 giorni, della sanzione amministrativa in misura ridotta del 30%.
Sotto il profilo del diritto intertemporale, non vi sono dubbi in ordine alla volontà del legislatore di procedere ad una depenalizzazione, determinando, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. 2, c.p., una vera e propria abolitio criminis.
Non solo, attraverso una norma transitoria (contenuta nell’art. 4, co. 8) vengono rese applicabili retroattivamente le nuove sanzioni amministrative: “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”.
In assenza di questa disciplina transitoria – compatibile con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, co. 2, Cost., non comportando una punizione dell’agente più severa di quella al quale lo stesso avrebbe potuto andare incontro sulla base della legge vigente al tempo del fatto – il principio di irretroattività, avrebbe impedito l’applicazione delle sanzioni del nuovo illecito amministrativo ai fatti commessi prima della sua introduzione.
3. Gli illeciti penali.
L’illecito amministrativo potrà tuttavia concorrere con altre ipotesi di reato, configurabili astrattamente per fatti diversi sempre connessi all’inosservanza delle misure di contenimento.
Difatti, chi attesta in modo non veritiero una delle cause che legittimano lo spostamento (comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, spostamenti per motivi di salute o rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza) potrebbe incorrere nell’ulteriore violazione ex art. 483 c.p. o 495 c.p.
L’art. 483 c.p. (“Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”) sancisce che: “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”.
L’art. 495 c.p. (“Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”) che, si badi bene, prevede anche l’arresto facoltativo in flagranza , dispone invece che: “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni”.
In altre parole, nel caso in cui la falsa attestazione del dichiarante abbia ad oggetto “fatti” dei quali l’atto è destinato a provare la verità, il reato che si potrebbe configurare è quello ex art. 483 c.p. (cfr. tra le altre Cass. Pen. Sez. V, Sent., 11/01/2019, n. 4054); diversamente, nelle ipotesi in cui le dichiarazioni mendaci riguardino le “qualità personali” del dichiarante, si ritiene invece astrattamente configurabile il reato previsto dall’art. 495 c.p.
Non solo, degna di nota appare, la circolare sottoscritta in data 17 marzo 2020 , nella quale viene stabilito che nel modulo dell’autocertificazione venga inserito anche un ulteriore requisito: quello di non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al virus COVID-19 di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’ 8 marzo 2020.
La modifica, verosimilmente resasi necessaria a tutela della salute quale bene di rilevanza costituzionale (art. 32 Cost.), potrebbe comportare – seppur in estrema ipotesi – l’irrogazione di un’ulteriore e ben più grave sanzione penale in caso di relativa violazione, prevista e punita dagli artt. 438 c.p. (a titolo doloso) e 452 c.p. (a titolo colposo).
Lo rammentiamo: l’art. 438 c.p. (“Epidemia”) punisce con la pena dell’ergastolo: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”, anche nell’ipotesi aggravata dall’evento morte di più persone; diversamente, l’art. 452 c.p. (“Delitti colposi contro la salute pubblica”) dispone invece la reclusione da tre a dodici anni, per i casi di pandemia colposa aggravata dall’evento morte di più persone, e, la reclusione da uno a cinque anni per le ipotesi di pandemia colposa semplice.
Infine, il decreto-legge n. 19/2020 introduce poi una nuova figura di reato contravvenzionale, disciplinata all’art. 1, co. 2 lett. e) “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”, la cui violazione è sanzionata con un rinvio quoad poenam all’art. 260 r.d. n. 1265/1934, così come modificato dall’art. 4, co. 7, del d.l. n. 19/2020, punito – a seguito di contestuale inasprimento della pena – con l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5.000 euro.
4. Coronavirus e violazione delle misure restrittive: conclusioni.
In conclusione: l’ipotetica violazione delle misure restrittive adottate per arginare l’emergenza Coronavirus e le conseguenti disposizioni normative previste nei provvedimenti legislativi sopra menzionati, potrebbe comportare l’irrogazione di sanzioni di natura non solo amministrativa ma anche penalistica.
Vale la pena dunque ricordare che è importante attenersi al massimo rispetto delle disposizioni di legge, anche al fine di garantire la tutela della salute di tutti noi.