Il problema: emergenza Coronavirus e pagamento dei canoni di locazione
La chiusura forzata delle attività commerciali non essenziali e/o strategiche all’emergenza sanitaria che sta colpendo il paese sta comportando per le aziende e gli operatori del terziario un danno economico tutt’altro che contenuto.
In “Coronavirus: l’impatto nell’adempimento dei contratti” abbiamo esaminato la disciplina generale che regola le conseguenze di una causa di forza maggiore come questa nell’adempimento dei contratti.
In questa sede approfondiamo l’effetto emergenza Coronavirus rispetto ai canoni di locazione.
A fronte della sospensione dell’attività – e quindi degli introiti – le aziende ed i commercianti si ritrovano comunque a dover adempiere a numerose spese: imposte, tasse, stipendi, rate di finanziamenti, canoni di locazioni, solo per citarne alcuni.
Proprio con riguardo ai canoni di locazione, molti imprenditori e commercianti si stanno chiedendo se possono legittimamente sospendere, procrastinare e/o interrompere i pagamenti delle locazioni relative ai locali in cui viene svolta l’attività commerciale sospesa a causa dell’emergenza Coronavirus.
Eventuali soluzioni sul piano civilistico: gli artt. 1256 e 1467 c.c.
Dal punto di vista civilistico è indubbio che il conduttore non possa decidere unilateralmente di sospendere il pagamento senza prestare il fianco a possibili azioni del proprietario, il quale, a fronte anche di un solo mancato pagamento, potrà adire il Tribunale per chiedere la convalida dello sfratto per morosità (anche se l’esecuzione materiale dello sfratto risulterà sospesa sino al 30.06.2020, come previsto dall’art. 103, co, 6 D.L. 17.03.2020, n. 18).
Molti interpreti hanno già adombrato il possibile richiamo, da parte dei conduttori, delle disposizioni concernenti l’impossibilità della prestazione e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
– L’art. 1256 c.c.: impossibilità definitiva e impossibilità temporanea
[1] L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.
[2] Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Sostanzialmente la norma disciplina gli effetti sul contratto qualora la prestazione sia divenuta [temporaneamente o definitivamente] impossibile, tutelando il debitore dalle conseguenze che normalmente causerebbe il mancato adempimento.
– L’art. 1467 c.c.: contratto con prestazioni corrispettive
[1] Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458.
[2] La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto.
[3] La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
La norma è volta a tutelare le parti del contratto, qualora l’eventuale sperequazione delle rispettive prestazioni renda troppo gravoso il contratto per una di esse.
È evidente come tali disposizioni potranno trovare applicazione nell’ambito del diritto delle locazioni qualora questa crisi sanitaria dovesse proseguire – con tutti i risvolti economici – ancora per qualche mese, senza che il legislatore emani una qualche normativa speciale al riguardo.
Le soluzioni del governo al tempo del Coronavirus: credito d’imposta e stop all’esecuzione degli sfratti sino al 30.06.2020
Sul punto il Governo ha deciso di non sospendere il pagamento dei canoni di locazione.
Per andare allora in soccorso a chi si ritroverà a fare i conti con una forte ed inevitabile crisi della produzione e delle vendite, nel decreto “Cura Italia” sono state inserite due soluzioni indirette per contrastare il problema dei canoni di locazione.
Un primo intervento è rivolto esclusivamente ai negozi ed alle botteghe, ed è contenuto nell’art. 65 dell’ormai noto Decreto Legge n. 18 del 17.03.2020 laddove è stato disposto che “al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”.
Un diverso intervento, rivolto invece a tutti i tipi di locazione – siano esse ad uso abitativo o diverso, senza distinzione di sorta – è previsto all’art. 103, co. 6, del medesimo Decreto, laddove viene previsto che “l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020”.
Soluzioni apprezzabili ma che non risolvono il problema dei moltissimi commercianti ed imprenditori che si ritrovano costretti a sospendere le attività per un periodo … ad oggi indefinito.
Con riguardo all’art. 65 ci si chiede quanto serva un più favorevole credito d’imposta sull’importo della locazione, se in realtà l’impresa, non generando ricavi, non sia proprio in grado di pagarlo.
Parimenti l’art. 103 citato sospende l’esecuzione degli sfratti, ma non la proposizione – un domani – delle azioni per la morosità maturata nel periodo di obbligatoria chiusura dell’attività.
Insomma il problema, nell’attesa di eventuali interventi legislativi, rimane aperto.
E dunque, ad oggi, la soluzione migliore per quel conduttore impossibilitato ad adempiere all’obbligo del pagamento del canone di locazione a causa della forzosa chiusura dell’attività, pare essere quella di un accordo bonario con il proprietario/locatore, nel rispetto del principio della buona fede nell’esecuzione del contratto.
La riduzione del canone: l’art. 1464 c.c.
Come abbiamo, infatti, già evidenziato in “Conseguenze dell’emergenza corona virus nell’ambito sportivo” si può invocare l’applicazione dell’art. 1464 c.c. per chiedere una riduzione del canone.
L’art. 1464 c.c. Impossibilità parziale
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
In una recente sentenza la Corte di Cassazione [1] ha affermato il principio che
“l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione”.
[1] Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047
Laddove un evento non prevedibile e non imputabile ad alcuna delle parti renda non più perseguibili le finalità condivise o riconoscibili che hanno motivato le parti a stipulare il contratto di locazione, sostanziandone la causa in concreto, si verifica pur sempre un’impossibilità della prestazione, con conseguente applicazione della relativa disciplina.
Nel caso di impossibilità di usufruire dei locali condotti in locazione per l’emergenza sanitaria in atto, se è pur vero che il conduttore ha la disponibilità dell’immobile è altresì indubitabile che non ne possa usufruire per le finalità essenziali che costituivano la causa del contratto (si pensi ad un’azienda ove si svolge un’attività che, per l’emergenza corona virus è sospesa).
Il conduttore ha, dunque, diritto ad una riduzione del canone che, se non concordata con il proprietario, potrà essere determinata dal giudice.